Critica | Luigi Cavadini

CAVADINI
Le parole dello scrittore – del poeta soprattutto – vivono sempre di innumerevoli sfumature. Il loro significato si amplifica, si modifica, si stravolge. Fino ad assumere un senso che solo l’autore comprende fino in fondo e solo il più attento dei lettori riesce a percepire. Non è però, questa, una caratteristica solo di chi si esprime con la parola, ma di tutti coloro che cercano di dare voce o immagine alle sensazioni e alle suggestioni dell’anima. Penso al musicista, al pittore, allo scultore, che modulano suoni, colori e forme secondo una propria sensibilità. Ottenendo esiti a volte di immediata comprensione, altre volte di difficile accesso anche per il più avveduto dei fruitori. Nell’opera di Lupica si giustappongono spesso due livelli di lettura, quello che nasce (come sollecitazione) dalla scrittura e quello che si conclude (come prodotto artistico) in pittura e scultura. L’artista si fa per un verso ascoltatore e per un altro creatore, intrecciando così due visioni, quella del poeta e la propria. Non si tratta però di un ascolto dall’esterno, quanto di una immersione convinta dentro la poetica (o forse sarebbe meglio dire l’anima) dello scrittore. L’immagine mentale che il succedersi delle parole va costruendo si fa, nella sua opera, nuovamente palpabile: il gesto libero dell’artista, i colori che generano le atmosfere, la struttura della composizione, definiscono i contorni di una scena che, comunque non vive della semplice narrazione. La freschezza e la libertà estrema del segno, che non è mai costretto da una scelta di figurazione esplicita, diventano il filo lungo cui si dipana la duplice valenza lirica della parola che muta. E ciò vale quando si tratti di un segno grafico, ma anche nel caso in cui il segno sia un filo materico che diventa trama o ordito di un arazzo. O, ancora, quando la materia da plasmare prende corpo sotto le mani sapienti dello scultore. Gli scrittori che Lupica sceglie per sè (e per noi!) sono quelli che più sono consoni al suo spirito, alla sua visione dell’uomo e della vita. Così la riflessione sulle parole si fa introspezione, diventa scandaglio di sè, compone via via una nuova immagine che matura sulla sedimentazione delle esperienze e sulle suggestioni che il vivere quotidiano sollecita. Lo smarrimento dell’uomo pervade i versi di Dante, quelli di d’Annunzio, di Montale, di Luzi. Uno smarrimento che si sublima in una serie di interrogativi e di dubbi. Lo smarrimento dell’uomo si confonde dentro e oltre il segno insistito o la macchia densa che tutto copre. Si confonde (ma non si perde) tra i colori che mimano presenze e luoghi, suggerendo a volte azioni e situazioni. Chi accosta queste opere di Lupica, confrontandosi nel contempo con le parole dei poeti, si trova a sollecitare se stesso ben oltre la consuetudine, aggiungendo visione a visione, in una successione di rimandi e richiami che si fa stringente e che sollecita nel profondo.
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