Critica
Mariano Apa
Presentazione del Catalogo Premio Marche 1997 - Biennale d’arte contemporanea - Ancona
Con Nino Lupica si ha la rappresentazione dell’identità di arte e poesia. Ha scritto Mario Luzi: “Nino Lupica ama cimentarsi con opere letterarie esemplari: Dante, Baudelaire, per esempio. Non si tratta di esornazioni pretestuose o di immagini “a latere”. La forza di compenetrazione nella sostanza poetica dei testi è in lui rapinosa. L’impatto e poi l’assunzione come suo proprio dramma del nucleo vivo di quei capolavori sono addirittura travolgenti. Questo non significa affatto che Lupica si butti alla cieca, su impulso immediato, in un’avventura non preveduta e tentacolare”, spiega Luzi, “al contrario vuol dire che l’intensità di pensiero e di immaginazione accesa dal testo dell’opera è tanto profonda e forte da catturare integralmente la sua esuberante inventiva.
Alessandro Arioli
Passione nel piacere, piacere nella passione: due forme simmetriche dell’arte del vivere, del poetare, del rappresentare… Percorrere il tracciato dell’esposizione delle opere del maestro Lupica, sinergizzate sapientemente all’eufonia dei componimenti di D’Annunzio, significa lasciarsi catturare dal geniale collegamento tra la poesia promossa a metafora e la potenza della rappresentazione pittorica.
Accostamenti che si avvolgono, avvinghiandosi come spire pitonesche…
Ed ecco il primo tesoro/invenzione di Lupica: ogni opera è introdotta, metaforizzata e infine pre-metabolizzata da un brano poetico di D’Annunzio o di Dante.
Germano Beringheli
Presentazione della mostra alla galleria S. Marco dei Giustiniani - Genova, 1975
E’ stato René Huyghe ex conservatore del Louvre, a ricordare, nel suo libro “Dialogue avec le visible”, una famosa lettera, scritta da Poussin a Chanteloup il 24 novembre 1647, nella quale dichiarava che “nei diversi soggetti da lui trattati, non cerca soltanto di rappresentare sui volti dei suoi personaggi passioni conformi alle azioni che essi compiono, ma anche di eccitare a far nascere quelle stesse passioni nell’anima di chi vede i suoi quadri”.
Come dire che, molto prima di Delacroix e di Ingres, l'”ideale” dell’artista poteva essere indicato non tanto nella descrizione quanto nella possiblità evocativa e in quella di predisporre ad una data condizione sensibile.
Carlo Bo
Dalla presentazione del volume “La parola di Luzi e lo sguardo di Lupica"
…c’è in questo libro una nuova e inedita vibrazione, un’accelerazione dei battiti, dovuta alla coscienza e all’eccezionalità dell’evento. In tale direzione il libro risulta un filtro, ma si badi bene non già un filtro legato alla stagione, di immediato sfruttamento, no, da quel momento questo tipo di filtro varrà per tutti i tempi della sua poesia. Se lo rileggiamo con questi occhi il Quaderno diventa una chiave per il Luzi delle grandi affermazioni e dei suoi stupendi risultati e anche per questa ragione il Lupica ha reso un servizio al lettore. Va aggiunto che l’artista ha restituito come meglio non si sarebbe potuto il senso del grumo lirico del Quaderno, per cui la rispondenza con il testo è più che assicurata, è difesa…
Dino Carlesi
Dalla presentazione della mostra Il viaggio, la luce, Palazzo Piccolomini, Pienza, 2004
La traduzione della parola in segno grafico obbliga a cogliere nel modo migliore il rapporto e la coincidenza tra “i significati interni alla significante parola” e i significati del segno: il rapporto dovrebbe concludersi con un’analoga forza comunicativa e lirica. Questa è stata la mia prima considerazione quando ho dovuto prendere in esame i disegni di Nino lupica e i testi di Mario Luzi, soprattutto la grafica su cui Lupica si è impegnato in una ricerca iniziata tanti anni fa e – mi pare – condotta con rigore intellettuale e bravura tecnica eccezionale.
In relazione al valore semantico di una parola il segno rimarrebbe perdente se fosse solo illustrativo e non collegato alla propria autonomia di nascita e di narrazione, pur dovendo farsi interpretativo di un significato lirico che il testo contiene.
Luigi Cavadini
Le parole dello scrittore – del poeta soprattutto – vivono sempre di innumerevoli sfumature. Il loro significato si amplifica, si modifica, si stravolge. Fino ad assumere un senso che solo l’autore comprende fino in fondo e solo il più attento dei lettori riesce a percepire. Non è però, questa, una caratteristica solo di chi si esprime con la parola, ma di tutti coloro che cercano di dare voce o immagine alle sensazioni e alle suggestioni dell’anima. Penso al musicista, al pittore, allo scultore, che modulano suoni, colori e forme secondo una propria sensibilità. Ottenendo esiti a volte di immediata comprensione, altre volte di difficile accesso anche per il più avveduto dei fruitori.
Eligio Cesana
NAC, marzo 1972
Le opere recenti di Nino Lupica, dimostrano il costante affinamento di un linguaggio che, nel rapporto tra la povertà degli strumenti (penna e inchiostro) e la ricchezza degli effetti, trova una specifica motivazione. Gli assembramenti di immagini e di eventi grafici disegnati da Lupica, nascono da una linea ideativa che ha il passo fluido e controvertibile del monologo interiore. Una sequenza di accadimenti psichici, dove si compongono logica ed emotività, addizioni o dissociazioni di concetti, trapassi di memoria, di volontà, di coscienza; situazioni ora riconducibili ad archetipi figurali, ora a forme ideogrammatiche, a gesti automatici o alla parola: tutte destinate a ridursi, sulla pagina ferma, in dimensioni di spazio, anche se congenialmente articolate nel tempo.
Raffaele De Grada
Presentazione della mostra a Palazzo Sormani - Milano, 1991
Per lo più i classici vengono letti oggi per senso del dovere (a scuola) o per quanto riguarda i contenuti che riflettono i problemi del loro tempo (le persone colte). Lo scrive György Lukács riferendosi ai classici “moderni”. Figurarsi gli antichi. «Ma – aggiunge Lukács – per distrarsi, per divertirsi, si divorano i romanzi polizieschi. La televisione ha accentuato il fenomeno e ora il massimo ascolto televisivo è dato dai film di trama poliziesca».
Sembra che Lupica abbia tenuto conto di questo stato di cose. Con un grande coraggio ha affrontato il poema dantesco fornendoci una pittura appassionata sui temi multiformi suggeriti dalla Divina Commedia.
Ermanno Krumm
‘Lupica e Luzi a Pienza’ – Corriere della Sera, 8 Nov 2004
Nel suo Viaggio Terrestre e Celeste di Simone Martini , Mario Luzi si identifica, esplicitamente, con il pittore senese. Analoga operazione quella di Nino Lupica (Scordìa, 1938) nei 52 disegni dedicati al libro del poeta toscano. Nel tempestare il bianco della carta con la china, l’artista siciliano sembra imitare il flusso rapido e concitato di una scrittura: dunque, Luzi pittore e Lupica poeta? Si, almeno se si guarda al fatto che accompagnando il Viaggio passo passo – e citandone i versi – l’artista fa proprie le ragioni del poeta. Ne descrive i rapimenti, ne intuisce le inaspettate apparizioni, ne segue i pensieri e ne delinea le incertezze. Il suo segno è mobile, sintetico. Nell’abbaglio luminoso del mattino, l’occhio è come accecato. E la mano procede per masse ampie: spesso basta qualche linea, qualche ombra. D’altra parte, Lupica è un esperto interprete di opere letterarie avendo già, dagli anni Sessanta, prestato il proprio pennello agli scritti di Quasimodo, Verga, Joyce e Manzoni.
Paolo Levi
Rivelazioni, Torino, 19 novembre 2009
È indubbio che per affrontare un’opera d’arte, sia essa pittorica o plastica, non ci si può attenere a un’unica tipologia di lettura. Non sono più questi i tempi in cui l’indagine si svolge in un’unica direzione: solo venti anni fa la critica cosiddetta militante operava lungo un’unica direzione semplificando, in modo direi dogmatico, la lettura. C’era il critico marxiano che parlava solo di contenuti legati al sociale, o quello di corrente idealista, propenso a rivelare dell’opera solo la visione più nascosta della sua laica spiritualità. Nel nostro tempo ormai privo di barriere precostituite, la composizione pittorica o il costrutto plastico devono essere affrontati in un’ottica più vasta, considerando anche il fatto che certe tecnologie applicate all’arte visiva hanno prodotto profondi mutamenti sia formali che contenutistici, di cui chi ne scrive deve tenere conto.
Luis Luque Toro
Testo del catalogo della mostra "El Gran Teatro del Mundo" tenutasi presso la Real Academia de España en Roma, 25 febbraio - 20 marzo 2014
Mario Luzi
Presentazione della mostra "Quanto manca a Gerusalemme", Palazzo Florio, Università di Udine - 1998
Nino Lupica ama cimentarsi con opere letterarie esemplari: Dante, Baudelaire, per esempio. Non si tratta di esornazioni pretestuose o di immagini a latere. La forza di compenetrazione nella sostanza poetica dei testi è in lui rapinosa. L’impatto e poi l’assunzione come suo proprio dramma del nucleo vivo di quei capolavori sono addirittura travolgenti. Questo non significa affatto che Lupica si butti alla cieca, su un impulso immediato in un’avventura non preveduta e tentacolare; al contrario vuol dire che l’intensità di pensiero e di immaginazione accesa dal testo dell’opera è tanto profonda e forte da catturare integralmente la sua esuberanza inventiva.
Stefano Verdino
Tra ombra e luce, tra macchia e bianco. I versi di Luzi, il segno di Lupica. Nino Lupica non è certo nuovo al rapporto con la poesia di Luzi; a parte la cartella per la poesia Sanguis meus… da Sotto specie umana e altre imprese comuni nel nome di Baudelaire e Garcia Lorca, il precedente più connesso a questo libro di disegni e poesie è il Quaderno Gotico che Lupica realizzò oltre quindici anni fa.
Allora si trattava di ispirarsi ad uno dei canzonieri d’amore novecenteschi a più alta temperatura di febbre e l’energia del segno di Lupica provocò una sequenza di vertiginosa declinazione dell’immagine, davvero suggestiva.
José Francisco Yvars
Del catalogo della mostra "El Gran Teatro del Mundo" tenutasi presso la Real Academia de España en Roma, 25 febbraio - 20 marzo 2014
Vedere è un atto creativo che richiede sforzo, osservò sagacemente Henri Matisse. La sagacia, in effetti, ispira l’approccio intuitivo e perspicace di Nino Lupica alla produzione drammatica di Calderón e trasforma Il gran teatro del mondo in una metafora incisiva della ricerca concettuale –o meglio, l’indagine– del destino, sempre nascosto tra le velature del caso e il carattere dei protagonisti in un dramma inusuale misto alla tragedia. È stato Walter Benjamin, quell’insolito personaggio oracolare, colui che, in Origine del dramma moderno, ha caratterizzato enigmaticamente i modelli espressivi di Calderón come azioni miniaturizzate d’intenzione ludica predisposte per la riflessione. Buona e polemica considerazione. Per Benjamin, il mondo di Calderón ci si presenta chiuso in se stesso, ma è “sublunare” e vicino, il che autorizza l’avvicinamento ironico, insisto, tracciato inoltre in trama barocca: la controriflessione, il gioco di spazi e quella fuga arrogante verso il raccoglimento che prelude l’egolatria romantica.