Critica | Alessandro Arioli

ARIOLI

Passione nel piacere, piacere nella passione: due forme simmetriche dell’arte del vivere, del poetare, del rappresentare…
Percorrere il tracciato dell’esposizione delle opere del maestro Lupica, sinergizzate sapientemente all’eufonia dei componimenti di D’Annunzio, significa lasciarsi catturare dal geniale collegamento tra la poesia promossa a metafora e la potenza della rappresentazione pittorica.
Accostamenti che si avvolgono, avvinghiandosi come spire pitonesche…
Ed ecco il primo tesoro÷invenzione di Lupica: ogni opera è introdotta, metaforizzata e infine pre-metabolizzata da un brano poetico di D’Annunzio o di Dante.
È il dialogo tra le due facce della medesima medaglia, ove la poesia si interfaccia alla pittura e richiama alla mente rappresentazioni suggestive dei contrari apparenti che si ritrovano in natura: è così che il contrasto, voluto e visibilmente sofferto, tra i colori delle opere di Lupica richiama e si richiama alle suggestioni che emergono potentemente dai paesaggi dell’amata Sicilia.
Ne é riprova, innanzitutto, la magmaticità plastica delle forme tracciate dal Maestro: una sorta di ossimoro visivo, che si manifesta nella staticità della colata raffreddatasi in contrasto apparente con l’energia incommensurabile che l’ha determinata: quell’opporsi che ritorna e riemerge tra il rosso igneo del magma fuso e furibondo ed il grigio antracite della lava solidificata… .
Ma di che si tratta? Può essere una trasfigurazione della biodiversità vitale e prorompente della sicilianità primigenia, di quella “trinacria” originaria?
D’altronde, il tema dominante della proposta di Lupica risiede proprio in questo assemblaggio di accostamenti binari, nei quali leggo la prorompenza della proposta artistica abbinata alla capacità di rappresentare e miscelare abilmente di volta in volta poesia e pittura (la prima scelta binaria del Maestro…), tragedia e passione, sacro e profano, eros e tanathos, magma fuso e lava calcinata….
Codesti elementi, antropologici e naturalistici, coabitano in sinergia nell’opera del Maestro, e ne suggellano il parallelismo evocativo.
Ne risulta il richiamo ai principi ispiratori della terra natia di Lupica: quell’amalgama, cioè, unico al mondo di mare e di terra, di complessità minerale, microbiologica, botanica ed animale che é la Sicilia.
Geniale, l’accostamento del brano poetico all’opera pittorica: si viene avvinghiati, catapultati nello spazio-tempo del pittore, dove lo stupore e il magnetismo sgorgati dalle tele policrome cedono il campo alla sensazione di asciutta efficacia delle opere a china, nelle quali il sapore magmatico ha lasciato il posto al vigore subitaneo del tratto di polso.
Si avvicina, a malincuore, il commiato dal percorso espositivo di Lupica, e mi soffermo a considerare il ruolo di codesto originale “filo d’Arianna” degli accostamenti binari: è proprio la selezione poetica che conduce il visitatore al primo “passaggio psichico”, cioè a quella selezione mediata tra le possibili metafore che potrebbero sgorgare dalla mente dell’osservatore emozionale, quale io sono…..
Così, mentre sto deragliando sulla forma invece che sul colore, eccomi ri-instradato e guidato dal brano terribile e magnifico di Dante sui “Figli del conte Ugolino”, i quali si offrono come cibo al padre…E come non sentirsi affascinati dall’intrigante tela di Lupica dell’ “Evocata nudità di Elena Muti”, al cospetto dell’interrogativo di D’Annunzio, quel “chi era ella mai”?
Oggi Lupica mi ha insegnato che, come nella dimensione spazio-tempo di Einstein, il travaso tra poesia e pittura-scultura è più di un artificio: è immanenza.

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