Critica | Eligio Cesana

CESANA
NAC, marzo 1972
Le opere recenti di Nino Lupica, dimostrano il costante affinamento di un linguaggio che, nel rapporto tra la povertà degli strumenti (penna e inchiostro) e la ricchezza degli effetti, trova una specifica motivazione. Gli assembramenti di immagini e di eventi grafici disegnati da Lupica, nascono da una linea ideativa che ha il passo fluido e controvertibile del monologo interiore. Una sequenza di accadimenti psichici, dove si compongono logica ed emotività, addizioni o dissociazioni di concetti, trapassi di memoria, di volontà, di coscienza; situazioni ora riconducibili ad archetipi figurali, ora a forme ideogrammatiche, a gesti automatici o alla parola: tutte destinate a ridursi, sulla pagina ferma, in dimensioni di spazio, anche se congenialmente articolate nel tempo. Con la caduta del dogma del monostilismo, Lupica ha maturato la consapevolezza di come sia possibile e utile che ciascuno dei momenti in cui si articola il discorso, si esprima col lessico e la sintassi più pertinenti, anziché tradursi tutti quanti negli schemi di un unico denominatore idiomatico. L’eterogeneità dei moduli formali, in effetti, risulta particolarmente appropriata per una comunicazione, suggerita da una suite interiore a sviluppo spontaneo, dove la multiformità delle relazioni e la varietà dei motivi sono note caratterizzanti. Ma Lupica avverte anche la necessità di intrattenere un’unitarietà trascendenziale, sopra i singoli comparti stilistici o, più largamente idiomatici: cioè, l’esigenza di introdurre un medium capace di qualificare il coacervo, come il linguaggio organico. L’elemento coibente, nasce dal filtrare ogni tipo di segnale acquisito (anche se originariamente di produzione meccanica) attraverso il lavoro manuale. Un operare disciplinato, dove la stessa abilità si veste di pazienza, di precisione micrometrica, a cui Lupica si sottopone, senza esaltazioni o cedimenti. Perché, ogni modulo stilistico, mentre viene tradotto dalla mano in sistemi di linee variamente coordinate ma della medesima natura, perde i connotati accidentali, determinati da necessità tecnologiche dei mezzi di produzione originaria, più che da vere esigenze espressive; soprattutto, perché si riducano le qualificazioni estetiche attribuite o negate a priori, secondo il genere di operazioni da cui gli stilemi sono originariamente scaturiti (artigianali o artistiche, di massa o di elite…). Nel nuovo e diverso ambito in cui sono proposti gli aspetti contingenti dei singoli moduli, si temperano in ragione della convivenza a cui sono chiamati, senza tuttavia cambiare le matrici strutturali, che conservano quindi la loro essenziale significatività. In conclusione, sul piano dei linguaggi, Lupica compie un’operazione di ordine fenomenologico e non semplicemente meccanico, con risultati che, se non sono comodamente allineati col gusto dominante, hanno tuttavia un significato di sperimentazione concreta.
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